Scegliere di abitare in questa community

Ci sono decisioni che sembrano semplici, quasi logistiche: aprire un sito, scegliere un servizio, trovare uno spazio per il proprio progetto digitale. Ma sotto la superficie delle scelte funzionali, spesso si muovono motivazioni profonde, silenziose ma determinanti.

Perché il punto non è solo dove appoggiare un sito. Perché appoggiare non è abitare. E nemmeno convivere.

Avevo già un sito: strutturato, solido, con una sua storia. È ancora la mia “home digitale”. Ma è una casa dove vivo da sola.

Negli ultimi mesi, sentivo il bisogno di qualcosa d’altro. Forse non qualcosa di più, ma sicuramente qualcosa di diverso.

Volevo che la mia presenza online riflettesse una dimensione relazionale, condivisa, intenzionale. Perché il modo in cui stiamo online racconta molto di come scegliamo di stare al mondo.

Ci troviamo in un tempo storico in cui il personal branding sembra l’unica via per esistere digitalmente, cercavo una possibilità alternativa: essere riconoscibile senza rincorrere la visibilità, restare me stess senza aderire a modelli esasperati di performance.

Quando Massimo Bocca mi parlò per la prima volta di MyBV, rimasi colpita.

Mi raccontò di un “villaggio digitale”. Ma non lo descrisse come una metafora romantica, bensì come un’architettura concreta di senso.

Quel racconto mi ha aperto un varco. Un pensiero nuovo. Non sapeva che stava nominando, senza volerlo, ciò che stavo cercando da tempo.

Un villaggio digitale, per come lo intendo oggi, implica una pluralità. Ma anche un’intenzionalità condivisa. Chi abita un villaggio non cerca solo visibilità o traffico.

Cerca connessione, ascolto, attenzione. Cerca uno spazio in cui far crescere il proprio progetto, e uno spazio più grande in cui costruire senso assime ad altre persone

Dal mio punto di vista, questa è una scelta culturale forte perché il modo in cui si vive nel mondo on line racconta moltissimo del modo in cui vivamo nel mondo off line.

E, per concludere, a te che leggi, lascio alcune parole di Wendell Berry (scrittore e ambientalista statunitense) tratte da un suo storico speech il cui titolo è una dichiarazione programmatica: “Health is Membership”.

E le  parole  sono queste: “I believe that the community – in the fullest sense: a place and all its creatures – is the smallest unit of health and that to speak of the health of an isolated individual is a contradiction in terms”.

Ad maiora! ( A tutti noi).

 

7 commenti
  1. Silvia Scozzafava
    Silvia Scozzafava dice:

    Nessun uomo è un’isola, si sa, e ciò è particolarmente vero quando si pensa all’enorme valore del networking.
    In un parallelo con l’ecologia, mi sento di affermare che le comunità possiedono proprietà emergenti, ossia caratteristiche uniche derivanti dalle interazioni, e non riconducibili alla somma delle caratterisitche delle componenti. In questo, una buona community è un autentico moltiplicatore di valore.
    Devo dire che quando mi è capitato, quasi per caso, di venire a conoscenza del progetto MyBV, non ero nemmeno alla ricerca di un luogo dove appoggiare un sito web… Pensavo che avrei potuto farne tranquillamente a meno per un po’, era un qualcosa che rimandavo a “più avanti, quando avrò i soldi, quando avrò il tempo (possibilmente quando avrò entrambi)”; e invece ho capito che MyBV era una opportunità diversa da tutto il resto, e da cogliere al volo.
    E infatti, eccomi qui 🙂

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    • Katia Bovani
      Katia Bovani dice:

      Grazie per la tua condivisione, Silvia. Leggera, eppure assorbita all’interno di una storia del senso, il tuo.
      Hai ragione, il tutto è più della somma delle singole parti e – come è successo a te – cercavo quel tutto. Ed è importante parlarne sia al nostro interno che all’esterno: quel “tutto” può espandarsi per essere ancora di più e più coeso.
      Il suo valore non diminuisce all’aumentare del suo raggio, ma raddoppia, triplica e così via.
      È bello incontrare persone che, come te, credono nella forza della community . Proprio bello.

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  2. Massimo Bocca
    Massimo Bocca dice:

    Lo dico: per chi ha già un sito “ufficiale”, questa io l’ho sempre vista come la casa sull’albero, quella in cui da bambino vai a giocare, quella che intorno ha un mondo di fantasia che ti costruisci per mostrare parti di te che nel quotidiano non vengono fuori così nitide e calde.
    Dici bene: un posto per stare con altri, come il sottoscala di Stranger Things, in cui si gioca a D&D con gli amici di una vita, un posto che per me può permettersi anche più autenticità di http://www.ilmiositopomposo.pom.
    Un posto dove c’è una curvatura di te a cui vuoi dare più spazio, più luce, più volume. A cui vuoi dare un’opportunità.

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    • Katia Bovani
      Katia Bovani dice:

      Esattamente, Massimo: a cui dare un’opportunità.
      Non praticarla e andarsene, ci fa perdere il diritto di obiettare.
      Grazie Massimo.

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  3. Roberto Forte
    Roberto Forte dice:

    Il concetto di community esalta il valore del singolo, pur conservandone l’unicità.
    Il gruppo è forte delle competenze e delle esperienze di tutti, al tempo stesso le esalta e le completa.
    Un ingegnere, un avvocato, un esperto di settore scoprono di aver qualcosa in comune che l’individualità aveva nascosto. Portare valore diventa la nuova bandiera, la linea guida attraverso cui trovare una nuova espressione di “noi”.

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    • Massimo Bocca
      Massimo Bocca dice:

      Oltretutto, mi viene da dire, questo si sposa benissimo con la finalità primaria di avere un microfono da cui raccontare al mondo una storia di sé, una vetrina in cui mettere prodotti e servizi, spesso NUOVI – un modo per dire a tutti chi siamo, cosa facciamo, e perché lo facciamo, e come. Nessuno mi toglie dalla testa che la community abbia delle modalità e delle dinamiche che funzionano come nessun’altra per fare business.
      Sono pronto a fare decine di esempi 🏗️🛗🍾

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